Tra il 1974 e il 1975 un John Divola venticinquenne viaggiò attraverso Los Angeles alla ricerca di proprietà fatiscenti in cui scattare delle immagini. In questa serie viscerale di fotografie in bianco e nero, Divola dipinge una serie di costellazioni astratte di segni simili a graffiti su vari muri di case abbandonate prima di catalogarne con la fotografia i risultati. Il progetto unisce così vigorosamente l’approccio documentario alla fotografia forense con interventi che riecheggiano performance, scultura e installazioni artistiche. Servendo come un sabotaggio concettuale delle delineazioni tra tali pratiche documentarie e artistiche, in un momento in cui la “veridicità” della fotografia veniva messa in discussione, il vandalismo contribuiva a costruire il linguaggio fotografico altamente distintivo di Divola.
Un libro che esercita un fascino incredibile, viene ancora spontaneo domandarsi a cosa questi segni ossessivi facciano riferimento.