Di fronte all’immensità della reggia e dei giardini di Versailles e Caserta, un fotografo è costretto a prendere atto della limitatezza dello strumento di cui si serve ed è posto di fronte ad una scelta: considerare l’immagine come il risultato di un gesto individuale oppure come una forma simbolica, una parte che sta per il tutto.
Ghirri, l’individualista, vede a ragione Versailles come uno dei giardini più fotografati al mondo e si impone di non elucubrare, ma di agire. Cerca di leggere i turisti, i nuovi abitanti della corte del Re Sole, come protagonisti contemporanei adeguati allo scenario; sceglie toni tenui, sbiancati, che danno un senso di riflessione così intima e privata da creare un forte contrasto con la pomposità della reggia.
Cuchi White, all’opposto, non esce mai dalla finzione teatrale creata dagli archi, dalle colonne, dalle ombre marcate; si mette completamente a disposizione del gioco di illusioni e di meraviglie che questi palazzi e giardini cercavano di creare, portando lo spettatore in un mondo alternativo all’esistenza, così grande da dare l’impressione di non finire mai.