I luoghi testimoni di orrori, siano essi edifici, città o paesaggi, portano con sé il loro difficile passato. Le vestigia mnemoniche (come rovine e tumuli), i racconti del passaparola, le visite guidate, i libri, i dipinti e i film contribuiscono a creare un mito. E mentre i fatti terrificanti si diventano gradualmente soggetto di un folklore più innocuo, l’ombra sinistra che proiettano rimane più presente di quanto si possa immaginare.
Per Anna Fox e Alison Goldfrapp, cresciute nella città di Alton e dintorni negli anni ‘70, un brivido persistente aleggiava su Flood Meadows, un angolo bucolico nelle campagne dell’Hampshire. Le conseguenze del raccapricciante omicidio e smembramento di Fanny Adams, una bimba di otto anni, avvenuto nel 1867, persistevano: più di cento anni dopo un’aria minacciosa di violenza aleggiava ancora, nelle risse tra adolescenti e nella misoginia che circondava le autrici nella vita quotidiana.
Anche se non è mai stato inteso come un riferimento letterale, ripensandoci Anna e Alison sono state chiaramente colpite dall’eco minaccioso della vicenda di Fanny Adams nelle loro fotografie messe in scena: gambe scollegate dal tronco, capelli e altre parti del corpo non ben definibili, corpi senza volto o altri segni di vita pulsante. Alison sottolinea che “I collant sono lucidi, volevo che le gambe sembrassero lucide, quasi iperreali. Volevo che il corpo sembrasse quello di una bambola rotta o un manichino da negozio. Nudo, liscio e finto”.
– Peter Culley