Il processo di Vittorio Mortarotti e Anush Hamzehian parte con la voglia di indagare la claustrofobia e la violenza di una città di confine, metafora di tutte le frontiere. Il titolo non a caso è “Eden”, il paradiso perduto, luogo da cui il primo uomo venne cacciato e nel quale non poté più ritornare.
Anush Hamzehian, concepito nel 1979 (anno della rivoluzione islamica) da rifugiati iraniani durante il loro ultimo viaggio in Iran, ha deciso di passare un mese della sua vita il più vicino possibile al paese in cui tutto ebbe inizio. Da questo desiderio ha inizio il lavoro del duo artistico. Mortarotti e Hamzehian vivono a Tabriz tra il Marzo e l’Aprile del 2014, in una situazione di sospensione tra l’Armenia e L’Iran, luogo proibito per Hamzehian a causa dei trascorsi politici del padre. Qui si ritrovano per la prima volta a “contemplare” l’Iran, le sue montagne, il fiume Aras e una strada curvosa. Qui, riescono a trasformare un episodio autobiografico in un racconto universale, che fa presa sul concetto di confine, di difesa di esso, ma anche su quello di patria, di libertà e anche di negazione della stessa.
Cercando di volgere lo sguardo oltre le montagne, i due provano ad uscire dalla gabbia di un Eden che poco ha a che fare con il giardino incantato a cui tutti facciamo riferimento.