Chi sapeva
di che si trattava,
deve far posto a quelli
che ne sanno poco.
E meno di poco.
E infine assolutamente nulla.
Sull’erba che ha ricoperto
le cause e gli effetti,
c’è chi deve starsene disteso
con una spiga tra i denti,
perso a fissare le nuvole.
Wislawa Szymborska, La fine e l’inizio, da Vista con granello di sabbia
Si apre così, con le parole della poetessa polacca premio Nobel, il bel libro di Roger Eberhard, uscito a marzo di quest’anno per l’editore svizzero Patrick Frey e presentato in mostra dalla galleria Robert Morat di Berlino. La nona monografia dell’autore nato nel 1984 a Zurigo presenta cinquantuno immagini a colori di paesaggi che in passato sono stati attraversati da confini.
La spinta iniziale di questo corpo di lavoro è offerta dalla campagna elettorale di Donald Trump, che nel 2016 promuove la costruzione di un muro lungo i 3.145 chilometri che separano il Messico dagli Stati Uniti. È lì che Eberhard dirige inizialmente le proprie ricerche. Studiando, si accorge che i confini non sono per niente stabili. Resta affascinato dalla scoperta che le origini di questi cambiamenti raccontano storie di ogni tipo: guerre, conquiste e trattati, ma anche, più spesso di quanto non pensiamo, cause naturali. Tra Italia e Svizzera, per esempio, lo scioglimento del ghiacciaio del Teodulo ha fatto cambiare bandiera alla stazione sciistica.
Questo continuo spostamento dei limiti, se osservato lungo un arco di tempo ampio, si infittisce e si complica progressivamente: all’inizio del Novecento nel mondo vi erano circa 55 Stati, negli anni Sessanta erano già 90 e oggi sono circa 200. Una tendenza costante all’aumento, sotto la pressione di Paesi che rivendicano l’autonomia. Se però lo guardiamo in prospettiva, il nazionalismo perde ogni significato: la tracciatura delle frontiere come manifestazione dell’esigenza di sentirsi definiti e sicuri rispetto al diverso che sta fuori è una definizione del tutto incerta e in costante evoluzione. Sono linee che disegnano un autoritratto in trasformazione. La storia ci insegna che è così da sempre e in questo senso, sostiene Eberhard, descrivere la storia di confini del passato ci insegna a essere meno protettivi di quelli attuali. Non importa quanto tu sia orgoglioso, fiero delle tue frontiere, perché è certo che in futuro cambieranno.