Non ho mai amato le fotografie della “natura”. Ho sempre trovato in queste immagini, e nel disperato tentativo di bloccare il momento naturale, una contraddizione insanabile con il linguaggio fotografico. Quando ho deciso di fotografare il cielo per un anno intero, una volta al giorno, ho voluto anche sottolineare questa impossibilità di tradurre i segni-naturali. In “Infinito”, la sequenza temporale di un anno per un totale di 365 fotografie è così anch’essa insufficiente per dare un’immagine del cielo. Neanche un linguaggio fotografico, iterazione, ripetizione progettata, sequenza temporale è sufficiente a fissare l’immagine di un aspetto naturale. Eppure è in questa non possibile delimitazione del mondo fisico, della natura, dell’uomo che la fotografia trova validità e senso. In questo suo non essere linguaggio assoluto, e nel farci riconoscere la non delimitabilità del reale, trova la sua naturalità e la sua autonomia.