“Tutto è iniziato una notte di marzo di otto anni fa sotto un forte temporale. Viaggiavamo a passo d’uomo senza vedere nulla per quanta acqua veniva giù. Mi sono voltato a guardare verso i campi e ad un metro da me una fila di quattro indiani in bicicletta procedeva lenta verso casa. Addosso, sopra i vestiti, solamente dei sacchi della spazzatura fermati con lo scotch.”
La terra Pontina ha visto a distanza di 80 anni due fenomeni migratori di vasta dimensione. Il primo con l’arrivo dei migranti veneti, friulani e marchigiani durante la bonifica degli anni ’30 che ha portato alla costruzione delle città di Latina, Sabaudia e Pontinia e quello dei migranti indiani arrivati negli ultimi 30 anni dal Punjab.
I primi migranti nel tempo hanno riscattato le terre che lavoravano diventandone i proprietari ed ora sfruttano i migranti indiani facendogli lavorare quegli stessi campi. Il radicamento della cultura coloniale e fascista, unito ad una mentalità provinciale tuttora presente non permette di scardinare radicalmente un modo violento di rapportarsi.
La vera possibilità di un cambiamento è nella nuove generazioni, con le quali l’autore ha deciso di collaborare, tenendo corsi di fotografia per un gruppo di bambini indiani, rivelatisi preziosi assistenti e traduttori, creando un ponte tra due culture ormai troppo a lungo estranee.
