Con Mi’raj (in arabo “scala” o “ascensione”), J Carrier utilizza come punto di partenza le idee esplorate nel suo libro Elementary Calculus (MACK, 2012): l’idea di distanza e quelle di destino, di speranza e del concetto della provvidenza. A queste si sommano nuovi concetti da esplorare: fede, futilità e possibilità di trascendenza.
Lavorando per diversi anni, Carrier ha scelto di esplorare la Città Vecchia, Gerusalemme Est e Ovest e altre aree della Cisgiordania, confrontandosi direttamente con le tracce reali e tangibili di migliaia di anni di Storia e di credenze. Utilizzando un processo iterativo, ripercorrendo più e più volte le medesime strade, Carrier dà vita a una sequenza intessuta da frammenti di realtà parallele e divergenti, eppure al contempo strettamente saldate insieme.
Al-Isra’ wal-Mi’raj descrive il viaggio intrapreso dal profeta Maometto con l’angelo Gabriele dal “luogo più lontano” – il sito dell’odierna Moschea Al Aqsa nella Città Vecchia – verso il Paradiso.
Questo luogo non è sacro solo per i musulmani, ma anche per gli ebrei per via del Monte del Tempio, dove si trovano il Primo e il Secondo Tempio, e per i cristiani – dove Dio creò Adamo dalla polvere e dove Giacobbe, con la testa appoggiata sulle pietre, sognò gli angeli.
La narrazione dell’ascensione di Maometto ha fornito a Carrier la cornice per esplorare l’idea universale dell’aspirazione umana. Guardando, ci troviamo di fronte a limiti – fisici, spirituali, esistenziali – che fanno i conti con i materiali del mondo – facciate e pietre. “È al contempo un esame e una riesumazione”, dice Carrier, “attraverso questi oggetti concreti, si rivela l’essenza immateriale di una terra in bilico tra il sacro, l’ideologico e il profano”.
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