Iniziato come un diario visivo, “Ravedeath Convention” (il cui titolo fa riferimento all’album del 1972 di Tim Hecker) è presto diventato un prodotto ibrido: fra l’autobiografia e la finzione. Mentre vengono esplorati l’amore, la gioia e l’amicizia, si verificano violenza ed eccesso, spesso catturati solo come tracce e sintomi. Una collisione di simboli culturali diversi, a volte non corrispondenti fra di loro, sottolinea la miscela onnicomprensiva di sottoculture come una caratteristica fondamentale dei nostri tempi. Le prime fotografie scattate all’età di tredici anni; questa serie di immagini in bianco e nero è la modifica di un continuo processo di fotografia, rivisitazione e rielaborazione che si estende per più di dieci anni. Nelle stampe storpiate, la presenza fisica del corpo e la fotografia si fondono celebrando l’imperfezione umana.