In Never Walk on Crowded Streets non c’è traccia della Roma turistica e affollato che siamo abituati a conoscere. Pochissime le persone ritratte, inghiottite da tutto quell’insieme di materiali e detriti che di Roma è la veste urbana. Togliere la folla a Roma è un gesto estremo che crea una zona neutra in cui è facile perdersi.
“Nei quartieri in cui Roma è Roma, io, in poco tempo mi sarei romanizzato. E romanizzarmi io non voglio. Di romanizzarmi io ho paura. Sempre” scrive Savinio nella parte di testo che accompagna le immagini, estratta da Scritti Dispersi (Adelphi, 1949).
Qui non esistono foto di architettura, di street photography o di reportage, qui la macchina fotografica – un iPhone – è ridotta a puro mezzo di conoscenza socio-antropologica. Giovanna Silva, probabilmente colta dalla stessa paura di Savino, ha deciso di partecipare a un bando dell’American Academy di Roma, per farsi raccontare la città da artisti ed esperti. Dopodiché ha preso una mappa, ha diviso Roma in quadranti e ha cominciato a camminare per mesi. Le importava la serialità.
È una frase del piccolo testo di Alberto Savinio, al centro del volume, che dà il titolo al libro: “mai camminare in strade frequentate”, citata da Pitagora. Sempre nell’inserto, una vivida descrizione dei Parioli: “Nulla ricorda Roma. Questo medesimo quartiere, così com’è, lo si potrebbe staccare da Roma e appiccicarlo a Montevideo, a Barcellona, a Auckland. Proverbialmente si dice che a Roma non si lavora. Lo smentisco questo proverbio. Ma se a Roma io lavoro è perché io, pur stando a Roma, non sto a Roma: sto a Montevideo, sto a Auckland: sto al quartiere Parioli”.