“Mentre guido fuori dalla città, il vento si alza, sferzando la neve polveroso dai cespugli fino a farla turbinare sull’asfalto della strada. So cosa sto cercando, ma mi accorgo del cartello un momento in ritardo. La superficie è infida. Lascio che l’auto rallenti a passo d’uomo prima di frenare.”
Dopo aver raggiunto la notorietà con i suoi ritratti intimi, Vanessa Wisnhip in Snow sperimenta una nuova distanza fisica tra sé e i suoi soggetti, rivelandoci quanto spesso ciò che non si è completamente compreso sia molto più avvincente di ciò che risulta chiaro e definito.
Forse è un’ovvietà, ma è un’ovvietà che ringiovanisce e respira con ogni nuovo particolare del racconto dell’autrice.
Questo senso di straniamento riecheggia anche nel pezzo di narrativa del poeta e romanziere Jem Poster, che si intreccia con le fotografie di Snow. Racconta di una fotografa di ritratti e del suo soggetto recalcitrante. La fotografa non è Winship, il soggetto non è qualcuno da lei ritratto. Quella di Poster è una finzione, un altro affascinante strato di questo libro complesso, che espone la scivolosità insita in qualsiasi narrazione e destabilizza le letture superficiali.
Copie firmate dall’autrice