Come evocare una tragedia che è paradossalmente resa invisibile da troppe immagini in circolazione? Il fotografo Alexis Cordesse, abituato a fotografare le zone di guerra, ha adottato un’approccio opposto, raccogliendo le rare immagini scattate in esilio, in una valigia o su un cellulare, che testimoniano la memoria di tante vite sradicate. Fuggire dalla Siria con le proprie immagini personali è un rischio: in caso di arresto, le fotografie vengono sequestrate e analizzate. Le persone che portano con sé queste immagini diventano sospette per il regime: in un simile contesto, la fotografia diventa pericolosa. Nel corso dei suoi incontri, più di cento in Francia, Germania e Turchia, tra il 2018 e il 2020, Alexis Cordesse ha scritto le storie di queste fotografie vernacolari e di coloro che gliele hanno affidate. La guerra viene percepita in modi diversi, attraverso il prisma delle parole dell’esule e il ricordo delle immagini che ha scelto di conservare. La fotografia come traccia tangibile è osservata attentamente: cosa ci dice dell’esperienza, cosa ci dice di ogni individuo? Talashi parla della circolazione delle immagini attraverso l’esperienza dell’esilio. Queste fotografie sono sopravvissute alla distruzione e all’oblio. La loro presenza parla dell’assenza di coloro che sono scomparsi per sempre. “Talashi è una parola araba che può essere tradotta come frammentazione, erosione, scomparsa. Questo lavoro di riappropriazione, ambientato nel fuori campo delle immagini di cronaca, propone una narrazione sobria e modesta, all’incrocio tra intimità e storia.